Gli articoli di Campanialive.it
Il maremoto o Tsunami
Autore: Ing. Alberto Fortelli - Redazione Campanialive.it
30/09/2009 (letto 41334 volte)
(For the English version click here)
La parola “tsunami” in giapponese significa “grandi ondate nei porti”. Nei porti, ove generalmente il mare è poco mosso anche in occasione delle forti mareggiate generate dal vento, solo un “qualcosa” di veramente eccezionale può indurre un moto ondoso di rilevante entità.
Le origini di questo “qualcosa” vanno ricercate nel silenzio delle profondità abissali, sul fondo del mare ove, in corrispondenza delle grandi faglie sottomarine della crosta terrestre, nelle rocce tendono ad accumularsi immense quantità di energia elastica (meccanica); in corrispondenza di tali linee di confine, le diverse zolle continentali si schiacciano una contro l’altra, deformandosi come fa un qualsiasi corpo dotato di un minimo di elasticità; mano a mano che tale spinta continua, tendono proporzionalmente ad aumentare sia le tensioni accumulate nelle rocce sia il corrispondente stato deformativo. Ad un certo istante la sollecitazione raggiunge un valore talmente elevato che, in un determinato punto, si manifesta una improvvisa crisi della struttura tettonica. Ciò crea una improvvisa caduta delle tensioni accumulate in precedenza ma l’energia che si era accumulata si libera quasi istantaneamente sotto forma di onde di deformazione che si propagano nella roccia (onde sismiche), trasferendosi anche alla massa del mare, con caratteristiche diverse a seconda dei vari casi.
La crisi può consistere in un improvviso scorrimento reciproco, orizzontale e/o verticale tra le due zolle (sprofondamento o sollevamento di una parte del fondale) oppure può aprirsi una frattura dovuta a sforzi di trazione: ciascuno di questi fenomeni induce lo spostamento di immense quantità di acqua. Il fenomeno di trasferimento dell’energia dalle rocce sottomarine alle acque dell’oceano è piuttosto complesso dal punto di vista della meccanica dei fluidi, per la sovrapposizione di fenomeni di moto vario di diverso tipo. Tralasciando questi aspetti prettamente tecnici possiamo affermare che nel caso in cui il fondo oceanico sprofonda a seguito di un violento evento sismico, l’acqua viene risucchiata nella depressione da tutte le direzioni; quando le acque si scontrano al centro della depressione, per un fenomeno di inerzia delle masse in movimento radiale centripeto, esse tendono a sollevarsi come una montagna che successivamente tende a collassare su se stessa inducendo la nascita di un treno d’onde trasversali radiali centrifughe.
Anche un improvviso innalzamento del fondo marino crea un fenomeno analogo alla seconda fase del processo prima descritto.
Al largo tali onde sono generalmente di altezza molto modesta: qualche decina di cm al massimo. Una imbarcazione potrebbe, quindi, anche non accorgersi del transito di un’onda di maremoto. Estremamente grande risulta invece la loro lunghezza d’onda (per lunghezza di onda si intende la distanza che intercorre tra due creste o due cavi d’onda successivi): anche 100 km, con punte di 150 km e oltre. Un altro aspetto impressionante è la velocità con la quale si propagano queste onde di oscillazione: in alto mare, dove le profondità sono superiori ai 1000 m, possono registrarsi valori anche di 800 km/h anche se, data la grande distanza tra una cresta e l’altra, tra il passaggio di un’onda e di quella successiva possono passare oltre 10 minuti. Per comprendere meglio l’eccezionalità dei numeri sopra riportati, si pensi che nel Mediterraneo, anche nel corso delle più intense mareggiate generate dal vento, la lunghezza d’onda non supera quasi mai i 150 m e tra una cresta d’onda e la successiva non passano mai più di 15 secondi.
Questa situazione vale però, come già anticipato, solo al largo, dove le acque sono molto profonde e non vi è interferenza tra moto ondoso e fondale.
Quando le onde di maremoto iniziano ad avvicinarsi alla costa, o comunque non appena il fondale diventa meno profondo, inizia l’interferenza onda/fondale. Ciò comporta una graduale deformazione geometrica e strutturale dell’onda: la lunghezza d’onda si riduce, la sua altezza aumenta, la sua velocità decresce. Inizia anche una forma di dissipazione del suo contenuto energetico ma tale dissipazione è molto modesta sino a che l’onda non diventa così alta e ripida da trasformarsi in una onda frangente. Ma generalmente, e purtroppo, questo accade proprio sotto costa: pertanto l’onda scarica sulla costa la quasi totalità del suo originario, enorme contenuto energetico.
Un ipotetico osservatore posto su di un tratto di costa che sta per essere investito dal fenomeno, potrebbe vedere dapprima il mare come ritirarsi verso il largo, lasciando a secco scogliere o fondali, come a seguito di una fase di intensa bassa marea. Successivamente potrebbe vedere il mare sollevare il suo livello ed invadere la terraferma sotto forma di un’onda frangente, caratterizzata da un impeto che nulla è in grado di fermare; e poi osserverebbe l’arrivo di altre onde, probabilmente sempre più alte, una dopo l’altra sino alla inversione di tendenza che avviene intorno alla quinta/sesta ondata.
Le onde di maremoto sono onde di oscillazione: e come ogni onda di propagazione energetica possono subire fenomeni di riflessione, rifrazione e diffrazione. Questo comporta la possibilità che un’isola venga investita dallo stesso treno di onde di maremoto provenienti da direzioni diverse, dopo che le onde stesse sono state riflesse da una costa alta e rocciosa o da una scogliera sottomarina.
Le isole dell’oceano Pacifico sono costantemente sotto la spada di Damocle degli tsunami. Il Pacifico è infatti circondato da una immensa cintura di aree a fortissima sismogenicità vulcanica e tettonica. E sappiamo che i terremoti, in particolare se presentano un epicentro al di sotto dei fondali oceanici, ma non solo, sono la causa scatenante dei maremoti. Molte di queste isole sono degli atolli, con una altezza di pochi metri sul livello del mare: nel caso in cui arrivi un forte maremoto la possibilità di salvezza delle popolazioni residenti è molto modesta. Una azione di protezione è offerta dalle barriere coralline, circostanza che si evidenziò molto bene in occasione del maremoto alle Hawaii del 1 aprile 1946. Il banco corallino più largo delle Hawaii, a Kaneohe Bay, si trova sul lato settentrionale dell’isola di Oahu. Fronteggiava quindi le ondate di maremoto provenienti da nord (il sisma di generazione del maremoto si era scatenato in corrispondenza delle isole Aleutine, ad oltre 3000 km a nord) facendo si che il moto ondoso a riva non superasse il mezzo metro di altezza. Coloro che vivevano al riparo della barriera corallina non si accorsero di quello che stava succedendo a non grande distanza. Secondo stime, peraltro da considerare con la dovuta cautela, le ondate più grandi che raggiunsero le Hawaii avevano una altezza compresa tra i 15 ed i 18 metri (altezza che corrisponde ad un palazzo di 4-5 piani).
Prevedere uno tsunami con qualche giorno di anticipo non è possibile poiché non è ancora possibile, allo stato, prevedere il terremoto che andrà a generarlo. Ma una volta che il terremoto ha scosso la crosta terrestre in una certa area geografica, la rete sismografica mondiale nel giro di pochi minuti determina la posizione dell’epicentro (punto della superficie terrestre sulla verticale del punto di effettiva generazione del sisma, detto ipocentro), la profondità dell’ipocentro nonché la magnitudo dell’evento sismico (energia liberata, con attribuzione di livello sulla scala Richter). Da questi tre dati è possibile fare in tempi rapidissimi una valutazione del rischio di generazione di onde di maremoto e, conseguentemente, allertare tutte le aree costiere che “vedono” , con mare libero davanti, il punto di generazione del sisma. Le onde di maremoto in mare aperto sono velocissime ma viaggiano pur sempre con una velocità che consente di avere a disposizione un lasso di tempo per evacuare le zone costiere più basse, dove un treno di onde di maremoto avrebbe conseguenze più devastanti per le cose e per le persone. Per esempio, tornando al maremoto del 1946 alle Hawaii, le prime ondate arrivarono dopo circa 4 ore dal sisma delle Aleutine.
Da allora si è andata gradualmente strutturando una rete planetaria di rilevamento, una specie di esercito di “vedette strumentali di avvistamento” di questo tipo di fenomeni; tali reti, per poter raggiungere una concreta efficacia, possono e debbono essere potenziate al massimo, anche per evitare tragedie immani come quella che ha colpito il sud-est asiatico il giorno 26 dicembre 2004.
E nel Mediterraneo potrebbe esserci un fenomeno analogo a quello del 26 dicembre 2004? Alla luce delle caratteristiche tettoniche e della conseguente fortissima sismogenicità dell’Africa settentrionale (Algeria in particolare), della Grecia, della Turchia e dell’Italia, purtroppo la risposta non può che essere affermativa.
Ing. Alberto Fortelli - Redazione Campanialive.it
Condividi: |