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Ode alla "trupèa de cerase": benvenuta primavera, bentornato raffreddore

Autore: Prof. Adriano Mazzarella -
Responsabile Osservatorio Meteorologico Università Federico II di Napoli
26/05/2011 (letto 12762 volte)

L’arrivo della primavera per molti equivale più ad un sollievo psicologico, del tipo “è finalmente passato l’inverno”...

 

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L’arrivo della primavera per molti equivale più ad un sollievo psicologico, del tipo “è finalmente passato l’inverno” che ad un reale cambiamento. Per chi è abituato a spogliarsi ai primi tepori primaverili, pensando che sia arrivata l’estate (“la stagione” come la definiscono i Napoletani), la primavera può tradursi in una maggiore predisposizione ai raffreddori. La primavera mediterranea è una stagione di transizione che però non significa belle giornate estive in sostituzione delle brutte giornate invernali: il passaggio dall’inverno all’estate non avviene bruscamente ma gradualmente attraverso veri e propri combattimenti fra le preesistenti masse d‘aria fredda invernali di origine polare che hanno dominato nell’inverno appena trascorso e le masse d’aria calda africana, ricche di umidità, che invece tendono a scalzarle. Questi continui scontri determinano la fisiologica instabilità atmosferica primaverile con improvvisi ed inaspettati annuvolamenti, schiarite, localizzati acquazzoni e folate di vento vorticoso che a Napoli vengono chiamati “trupée de’ cerase” perché influenzano il raccolto delle ciliegie che incominciano a maturare proprio a metà maggio. La parola deriva dal greco “tropaia” che significa vento che va e che viene. E’ curioso osservare che a Napoli anche le liti di breve durata, causate da piccoli ed inaspettati contrasti, vengono classificate come “trupèe” così come l’avvicinarsi di un temporale prima di un rovescio di pioggia è indicativo di “aria di trupèa”. Insieme al prof. Capazzoli, che ha ridotto recentemente in versi napoletani il Don Chisciotte della Mancia, possiamo declamare:
“Comme, quanno d’estate na trobbea, che a l’antrasatta da lo cielo sferra, de l’àrbere le frunne taccarea, e li frutte ammature jetta nterra”.

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